Ezio Denti – Giugno 2016

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Caso Bossetti: quando una parte della verità è migliore di un’ingiustizia.

A meno di un mese dall’inizio del processo che vede imputato Massimo Bossetti, è quanto mai necessario riprendere ad interrogarsi, a cercare delle risposte, a mettere alla prova le proprie convinzioni.

E questa dunque, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non è e non sarà una riflessione “di parte”, né una riflessione dettata da un mandato.
Mettersi in discussione significa spesso avere il coraggio di cercare la verità qualunque essa sia, senza alcun riguardo per le proprie convinzioni.
Non appena ho avuto modo di parlare, per lunghissime ore, con Massimo Bossetti, ho potuto finalmente mettere alla prova non solo le mie convinzioni, ma anche la sua salda professione di innocenza.

Senza conoscere il punto d’approdo, ho messo in conto anche l’ipotesi di trovarmi di fronte ad una verità diversa da quella preventivata.
Un passaggio necessario, questo, per capire a fondo il significato, umano oltre che professionale, del ruolo che rivesto nel caso.

Ed è stato fonte di rinnovata convinzione il vedere come Massimo Bossetti, anche di fronte alle domande più dure, che non gli o risparmiato in alcun modo, non abbia mai vacillato, resistendo ad oltranza, senza che le sue affermazioni fossero scalfite dalla strenua ricerca di risposte.

Ci sono casi in cui la ricerca di risposte finisce per demolire le convinzioni maturate: nel caso di Massimo Bossetti, non è andata in questo modo ma, al contrario, la mia convinzione di star adempiendo non tanto ad un mandato, quanto ad una battaglia di civiltà, è uscita fortemente rafforzata da questa esperienza.

Se cercare la verità nel senso proprio del termine, ossia individuare i responsabili dell’atroce omicidio della piccola Yara Gambirasio, non rientra nel mio ruolo, posso tuttavia affermare che costituisce ormai una tappa obbligata, nell’ambito di questa vicenda umana e giudiziaria, dar voce alla verità dell’imputato, che fermo nella sua professione di innocenza continua a ribadire la propria estraneità ai fatti.

Questa convinzione, confortata dal continuo lavoro di ricerca che si protrae ormai da quasi un anno, non è stata frustrata da nessun tentativo -altrettanto doveroso, per chiunque cerchi di rivestire il proprio ruolo con professionalità e coerenza- di pervenire ad una verità diversa ed inaspettata.

C’è chi, nell’ultimo anno, non ha mancato di palesare un certo fastidio dinnanzi alla prospettiva di un Bossetti innocente, chi ha cercato di non vedere una serie di elementi a suo favore, se non attraverso la lente deformante delle proprie convinzioni maturate sulla scorta dell’emotività.
Nessuno, probabilmente, saprà mai cosa davvero accadde quel 26 novembre di oltre quattro anni fa.

C’è sempre chi si spaventa di fronte alla prospettiva di un delitto irrisolto, ed è per questo, forse, che l’ipotesi della non colpevolezza di un imputato finisce per risultare, per molti, fastidiosa.

La verità, per quanto triste e scomoda, è che non sempre è possibile individuare un responsabile ed in questi casi, affinché la giustizia non muoia una seconda volta, sarebbe sempre auspicabile un passo indietro: è meglio una verità parziale, anche laddove questa implichi l’assenza di un colpevole, che una seconda vita rovinata e distrutta da una macchina giudiziaria incapace di ammettere i propri errori.

Le verità costruite e piegate secondo la convenienza non onorano la giustizia, ed allo stesso modo non onorano la nostra civiltà le convinzioni fondate sull’illazione e il preconcetto e mai sottoposte alla prova dei fatti.

Non basterà la proverbiale cenere sul capo a salvare dall’onta dell’aver condannato un innocente: e allora, in attesa dell’inizio del processo, si continui a pensare, ad interrogarsi, a riflettere su quanto i fili di questa vicenda siano spesso stati mossi, forse inconsapevolmente, senza i presupposti necessari a pervenire alle agognate certezze accusatorie.

Non mancò chi ebbe a scrivere, d’altronde, che è meglio agitarsi nel dubbio che perseverare nell’errore.

Perché se quanto è accaduto a Massimo Bossetti sarebbe potuto accadere a ciascuno di noi, non si può dimenticare neppure che, in questo momento, nessuno di noi è Massimo Bossetti, ma con la propria capacità di critica ed autocritica, può contribuire a fare in modo che casi di questo tipo non si ripetano, e che si possa conoscere il volto di una giustizia in grado, talvolta, di ammettere i propri limiti e l’inconsistenza delle proprie convinzioni.