Ezio Denti – Gennaio 2015

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Massimo Bossetti…ecco cosa accade nel nostro paese!

Stanno per scorrere i titoli di coda di questo sceneggiato italiano chiamato “Processo a Massimo Bossetti” e prima che escano di scena attori e comparse, mi sento in dovere di esprimere il mio parere, un pensiero non solo da tecnico e da “comparsa” in questo processo ma soprattutto da cittadino.

Se solo l’Illustrissimo Presidente della Corte, a mio parere unico baluardo di correttezza e di umanità fra i cosiddetti tecnici del diritto, ed i giurati tutti potessero vedere con i loro occhi e prendere contezza di una sola minima parte di ciò che ho potuto vedere io sulle “indagini che non hanno pari sicuramente in Italia ma nemmeno nel mondo”, compiute dalla Procura, sono certo che lascerebbero aula o camera di consiglio che sia, disgustati ed amareggiati dalla richiesta di epilogo di quello che ho chiamato sceneggiato italiano.

Come poter giungere a sentenza davanti a macroscopici errori e leggerezze nelle indagini? Come poter comminare l’ergastolo ad un uomo quando il castello accusatorio è costellato di “non si può dire molto di più”, “è stato faticoso andare avanti” “non è possibile ricostruire con certezza la dinamica” della morte di Yara Gambirasio, “esattamente come siano andate le cose nessuno è in grado di dirlo”. Questo francamente non lo so, così come non so come sarà il finale, ma qualcosa voglio cercare di spiegare.

Il DNA di Massimo Bossetti, la cosiddetta prova regina, così prova che anche il Pubblico Ministero deve dilungarsi mezz’ora a citare sentenze di Cassazione per convincere (convincersi) che è prova e non indizio, sarebbe un elemento importante per l’accusa se non fosse che nel corso del dibattimento è stata accertata un’anomalia. E il Pubblico Ministero allora come risolve il problema? Dice semplicemente con una certa nonchalance che non è necessario dirimere qui (a dibattimento) questo problema, “non possiamo dare delle spiegazioni”. Ma come: c’è un problema sulla prova regina e non è in sede dibattimentale che occorrerebbe giungere a certezza posto che all’esito dell’istruttoria, i giurati sono chiamati a giudicare? E quale sarebbe la sede allora? Certo, per uscire dall’empasse è molto meglio per l’accusa gettare discredito sul consulente della difesa: un Marzio Capra viene definito un inventore di termini, che soffre di strabismo nell’interpretare i dati e che difetta di esperienza.

Veniamo al furgone di Massimo Bossetti, che sarebbe transitato in orario compatibile con l’uscita di Yara dalla palestra sulla via adiacente.

Lungi dal ripercorrere tutta la vicenda sull’individuazione del furgone, passo, fari, video confezionati ad hoc dagli inquirenti palesemente alterati per mero scopo mediatico, l’accusa sostiene che il furgone di Massimo Bossetti sarebbe transitato in prossimità della palestra alle ore 18 e 35, 18 e 36, per poi tornare alle 18 e37 e 18,44, orario compatibile con l’uscita di Yara dalla palestra, la quale sarebbe uscita attorno alle 18 e 41, prendendo come riferimento l’orario fissato dall’ultimo teste che l’ha vista. E cosa succede se, come relazionato in dibattimento, sono errati sia gli orari di passaggio del presunto furgone di Bossetti e dell’uscita di Yara dalla palestra? Ed è proprio così perché l’allineamento delle telecamere operato dalla Procura è sbagliato, e, come spiegato dal sottoscritto, Bossetti sarebbe transitato alle 18 e 34 dalla telecamera Shell, per poi ripassare alle 18 e 37 mentre Yara sarebbe uscita non alle 18 e 41 bensì dieci minuti dopo (prova ne è il passaggio dalla telecamera della Shell alle ore 18 e 48 del teste che, dopo aver poi parcheggiato e essere entrato in palestra, riferisce di aver vista la vittima). Questo elemento, sottaciuto dall’accusa, prova che Bossetti era già transitato da un bel pezzo dalla palestra e non avrebbe certamente potuto incrociare Yara.

E allora: DNA con molte problematiche, orari sbagliati delle telecamere che non consentono di collocare il Bossetti nel luogo di sparizione della vittima al momento dell’ultimo avvistamento della stessa …. Proseguiamo?

L’accusa procede con l’esame di fibre sugli indumenti di Yara che potrebbero provenire dai sedili del furgone appartenente a Bossetti, senza rilevare che la casa produttrice ha utilizzato le medesime fibre per oltre 150.000 sedili (il furgone in dotazione al centro sportivo che tipologia di sedili ha? Forse le medesime fibre?), e arriva alle particelle di ferro sugli abiti di Yara, particelle che possono provenire da chi lavora il ferro, ovvero chi ha eseguito lavori di fresatura, lo dice lo stesso PM “un fabbro o un tornitore”: ma Bossetti non è un carpentiere?.

E giungiamo agli accertamenti informatici: le ormai famose ricerche su “ragazzine vergini” e simili; è possibile giungere ad un giudizio di colpevolezza dell’imputato per questo elemento, peraltro incerto posto che la pedopornografia non è stata per nulla dimostrata… C’è solo da rabbrividire se le ricerche su un computer vengono portate a suffragio di una richiesta di ergastolo.

La logica, anche se di logico c’è ben poco, conclusione è la seguente “Non c’è modo di individuare alcun tipo di movente, in questa vicenda”, “non ci sono elementi per dire che si conoscessero. Si può solo dire che l’abbia incontrata per caso –ndr transitando oltre 10 minuti prima-convinta a salire sul suo mezzo e poi, cosa è successo può essere solo frutto di immaginazione”.

Cara Corte d’Assise, l’accusa vi invita a condannare utilizzando l’immaginazione, perché in questo sceneggiato italiano è rimasta solo quella a disposizione come metro di giudizio per scrivere il finale.

Una sola domanda affolla i miei pensieri e sovrasta ogni altra perplessità: perché mai l’accusa non ha voluto considerare piste alternative, perché mai quando in dibattimento si sfiorava la circostanza, il Pubblico Ministero si affannava a ribadire che non è questa la sede e che per alcuni (tipo il soggetto –noto- il cui DNA è stato trovato sul giubbotto di Yara in maniera forte) è stato poi intercettato e non è emerso nulla? Forse ci si aspetta una confessione telefonica a distanza di anni dall’omicidio? Ed ancora: tutto il materiale che non è stato fornito alla difesa, a giudizio del Pubblico Ministero era già stato esaminato e non era stato considerato rilevante. E’ una buona giustificazione perché la difesa non trovi altri elementi che facciano crollare la trama dello sceneggiato “faticosamente” costruito, anche con testimonianze forzate per non dire non veritiere, dall’accusa.

Il mio ultimo pensiero va ad una semplice domanda: Perché? Perché si forzano gli orari, si sorvola su un DNA anomalo, si attaccano i consulenti di parte bollandoli come cialtroni per screditare il loro lavoro, si ascoltano testimoni che dicono cose suggerite? La risposta nelle parole del Pubblico Ministero: dopo oltre 25.700 DNA acquisiti, indagini alla cieca che hanno “spaccato la testa”a gli inquirenti e che hanno comportato dei costi enormi “doveva valere la pena”; deve essere trovato un colpevole che è differente dal può essere trovato un colpevole, deve mantenere una sorta di credibilità ed istituzionalità il comunicato stampa del Ministro Alfano in cui il 17 giugno 2014 annunciava alla nazione la cattura dell’assassino di Yara Gambirasio, e con esso le lodi di tutti i reparti del Ministero che con grande caparbietà hanno lavorato per la giustizia. Deve valere la pena. In questo dovere, per lo Stato Italiano, è racchiuso il futuro di Massimo Bossetti.