
La vicenda giudiziaria di Massimo Bossetti tra indizi e suggestioni.
A meno di due mesi dall’inizio del processo che vede Massimo Bossetti imputato per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, non si placa il succedersi di indiscrezioni mediatiche, di vere o presunte prove presentate come verità granitiche ed indiscutibili nonostante il loro valore indiziante pressoché nullo e sintomatico di un ormai evidente tentativo di sostituire ad una prova regina sostanzialmente mai esistita una serie di suggestioni inidonee a colmarne il vuoto.
Nella vicenda Bossetti non hanno mai smesso di susseguirsi una serie di notizie, alcune volte frontalmente lesive della dignità e dei diritti dell’imputato, altre semplicemente banali ed inutili.
Ancora una volta, a soli due giorni dall’ultimo, duro intervento del Garante della Privacy, che nel ricordare, per la prima volta dopo mesi, che Massimo Bossetti è un “cittadino”, ha paragonato il trattamento riservatogli ai processi sommari condotti con i ferri di campagna, GR1 Rai ha diffuso, seguito dai restanti organi di informazione, alcuni stralci di una intercettazione ambientale nel carcere di Bergamo nella quale Bossetti parla con sua moglie di una bugia raccontata ai colleghi di lavoro a causa di difficoltà economiche cui far fronte.
Una bugia probabilmente pesante, ma certamente insufficiente a fare di un uomo un assassino, né tanto meno idonea a mettere in luce una presunta disonestà nelle dichiarazioni agli inquirenti.
E ancora, una bugia già nota agli organi di informazione ed all’opinione pubblica, ma stavolta accompagnata dalla indebita diffusione dell’audio dell’intercettazione, quasi a voler rendere sempre più concreta l’operazione di linciaggio mediatico in corso.
Nella divulgazione di questa ennesima notizia che porta con sé l’amara sensazione di un tentativo di demolire, ad ogni costo, la figura e la credibilità di un imputato, non è stato infatti segnalato un elemento che avrebbe posto fine alla speculazione mediatica prima ancora del suo esordio: la bugia della quale Bossetti parla con sua moglie nell’intercettazione diffusa, non prima di essere adeguatamente “tagliata” ad arte, infatti, era già stata dallo stesso limpidamente dichiarata agli inquirenti nell’interrogatorio dell’ 8 luglio, al quale si era, per giunta, sottoposto di sua volontà.
Se è palese la scarsa pregnanza dell’elemento e palmare l’assenza di qualsivoglia interesse pubblico sotteso nel momento in cui si divulgano notizie di evidente irrilevanza ai fini probatori, non meno chiaro è ormai il fatto che questo stillicidio di informazioni inutili che si protrae sin dall’inizio di questa vicenda mediatico-giudiziaria abbia come finalità primaria quella di ingenerare nell’opinione pubblica la convinzione che l’imputato sia colpevole nonostante il “ragionevole dubbio”, nel caso di specie, sia evidente e non sia uno solo.
Una considerazione di parte, potrebbe dire qualcuno, eppure questa sensazione non è mero appannaggio del pool difensivo di Bossetti né è legata al semplice dovere d’ufficio.
Del resto, quanto anzidetto è testimoniato dalle varie prese di posizione che, sia pure in sordina, si fanno strada in una sempre maggiore presa di coscienza delle anomalie di una vicenda complessa che comincia, a parere di molti ad assumere una connotazione preoccupante per chiunque creda nel diritto ad un equo processo.
Ed è sintomatico anche il fatto che la diffusione di simili notizie sia sempre seguita, spesso con una puntualità eclatante, alla divulgazione o alla scoperta di elementi utili alla difesa, quasi a volerli far dimenticare quanto più in fretta possibile, con buona pace del diritto al contraddittorio sul quale dovrebbe basarsi la nostra civiltà giuridica.
Non sembra eccessivo, allora, pensare ed affermare che Massimo Bossetti sembra sempre più vittima di un sistema incapace di ammettere i propri errori, o perlomeno i propri dubbi, tacitandoli volta a volta con improbabili surrogati di prove che non esistono.
Un’ulteriore sensazione spiacevole è dunque quella che, tra i tanti dubbi, l’unica certezza rischi sempre più di essere l’iniquo trattamento che da mesi viene riservato ad un cittadino che non ha mai smesso di proclamare la propria innocenza ed al quale dovrebbe essere garantito, come impongono secoli di civiltà, il diritto di dimostrarla in un processo nel quale indebite suggestioni mediatiche non prendano il posto di effettivi riscontri probatori.